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Istat: inflazione mai così alta dal 1986

05.07.2022

Continua la corsa senza freni dell’inflazione: le stime preliminari dell’Istat, come riporta Confcommercio, rilevano che potrebbe essere compromesse anche le speranze di ripresa per il 2023. A giugno, infatti, l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato un aumento dell’1,2% su base mensile e dell’8% su base annua, da +6,8% del mese precedente. Un incremento annuo così non si registrava da gennaio 1986, quando fu pari a +8,2%. “Le tensioni inflazionistiche – ha spiegato l’Istat – continuano a propagarsi dai Beni energetici agli altri comparti merceologici, nell’ambito sia dei beni sia dei servizi. I prezzi al consumo al netto degli energetici e degli alimentari freschi (componente di fondo; +3,8%) e al netto dei soli beni energetici (+4,2%) registrano aumenti che non si vedevano rispettivamente da agosto 1996 e da giugno 1996. Al contempo, l’accelerazione dei prezzi degli Alimentari, lavorati e non, spingono ancora più in alto la crescita di quelli del cosiddetto carrello della spesa: +8,3%, mai così alta da gennaio 1986, quando fu +8,6%. L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +6,4% per l’indice generale e a +2,9% per la componente di fondo”.

Coldiretti. La siccità spinge i prezzi nel carrello alimentare

Coldiretti osserva i dati Istat di giugno dalla prospettiva del carrello della spesa. La siccità con il taglio dei raccolti spinge l’inflazione con aumenti che vanno dal +10,8% per la frutta al +11,8% della verdura, in una situazione resa già difficile dai rincari legati alla guerra in Ucraina che colpiscono duramente le imprese e le tavole dei consumatori. L’analisi Coldiretti evidenzia un aumento complessivo dell’8,8% dei prezzi dei beni alimentari rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Il nuovo balzo dei prezzi aggrava una situazione che, secondo una stima Coldiretti, costerà nel 2022 alle famiglie italiane oltre 8,1 miliardi di euro soltanto per la spesa alimentare, a causa dell’effetto dell’inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina, che colpisce soprattutto le categorie più deboli.

Se i prezzi per le famiglie corrono l’aumento dei costi colpisce duramente l’intera filiera agroalimentare a partire dalle campagne dove – continua la Coldiretti – più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione, secondo il Crea. In agricoltura si registrano infatti aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio.

“Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “nell’immediato bisogna intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con interventi immediati per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro”

Confcommercio: “Un salto indietro nel tempo”

“Il dato sull’andamento dei prezzi rappresenta un ulteriore salto indietro nel tempo, con valori così elevati, sia in termini di profili mensili sia annuali, che non si registravano dalla fine degli anni 80”. Questo il commento dell’Ufficio Studi Confcommercio: “Non consola sapere che il dato italiano è allineato a quanto si rileva nel complesso dell’area euro (+8,6% tendenziale a giugno). Inoltre, come paventato da tempo, le pressioni inizialmente concentrate nell’energetico si sono ormai diffuse ad altri settori, in primis i trasporti e l’alimentare”.

In questo momento storico così delicato e con le persistenti tensioni che agitano i mercati delle materie prime, diventa sempre più complicato ipotizzare un rientro delle tensioni inflazionistiche nel breve periodo. “Elemento che rende – ha proseguito l’Ufficio Studi – sempre più concreta la possibilità di un’inflazione, nella media del 2022, superiore al 7% e di un rientro molto graduale nel 2023, con inevitabili pesanti effetti sul reddito disponibile e sul potere d’acquisto della ricchezza detenuta in forma liquida da parte delle famiglie, con conseguenti riverberi negati sui comportamenti di spesa”.

In conclusione, secondo l’Ufficio Studi sarà molto probabile che da settembre le famiglie saranno costrette a una selezione degli acquisti, con gravi effetti negativi sui consumi e di conseguenza anche sul Pil.

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