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Il futuro del vino è nelle vecchie vigne?

14.12.2022

Valorizzare il patrimonio delle vecchie vigne ed accrescerlo nel tempo potrebbe rappresentare oggi una scelta strategica rispetto a diverse sollecitazioni cui è sottoposto il mondo del vino, dagli effetti del cambiamento climatico ad una ricerca di maggiore qualità e tipicità, in altri termini di maggior valore, da parte del mercato. Una rivoluzione culturale rispetto alla quale il mondo enoico oggi non è probabilmente ancora preparato ma che muove i primi passi attraverso iniziative a livello locale ed internazionale che possono considerarsi significative.

Cambiamento climatico, riduzione dei consumi di vino e maggiore attenzione alla qualità e tipicità sono solo alcuni dei fattori nell’ambito delle dinamiche del mondo enoico che oggi, più che in passato, spingono al centro del dibattito l’importanza della cura del vigneto in ottica di longevità.

Le vigne vecchie possono rappresentare infatti da un lato un baluardo rispetto agli effetti del Climate Change, come dimostra una recente ricerca portata avanti dall’Institute of Grapevine and Wine Sciences (ICVV) in Spagna, dall’altro un’opportunità di migliore espressione del terroir con conseguente spinta in termini economici per le cantine anche a fronte di una riduzione delle rese, un mondo che, accanto ad elementi di fascinazione, aggiunge valore alle produzioni, come da sempre professano i viticoltori francesi.

In Italia non è ancora radicata la cultura del rispetto verso questa realtà carica di tradizioni, custode di un patrimonio genetico di vitigni autoctoni inestimabile, tanto che sono ancora pochi i produttori che segnalano in etichetta che il loro vino proviene da vecchi vigneti. Si guarda spesso più alla produttività, andando ad espiantare viti una volta che hanno raggiunto i venti anni di età, ma passi in avanti si stanno facendo anche in un’ottica di recupero e tutela.

Cosa si intende per vecchie viti e quali sono i loro punti di forza

Non esistono regole e parametri ufficiali per definire una vigna vecchia, ma in linea di massima un vigneto viene considerato tale intorno ai 25 anni, fanno eccezione paesi come l’Australia dove bisogna aspettare i 40 anni per raggiungere la piena maturità.

La pianta in questa fase lascia alle spalle il periodo della maggiore resa, il che si traduce in un minor numero di grappoli e acini di anno in anno, condizione che riduce la quantità prodotta ma aumenta la qualità perché nel corso del tempo la vite impara ad autogestirsi in termini di vigore, produttività e attività radicale, mantenendo un bilanciamento tra risorse impiegate per l’attività vegetativa e quelle accumulate.

Le radici raggiungono grandi profondità consentendo di ottenere un approvvigionamento idrico costante, anche nei periodi di siccità, e garantendo l’apporto di più nutrienti dal sottosuolo, condizioni che per alcuni viticoltori determinerebbe una maggiore stabilità nella produzione con acidità, zuccheri e tannini più bilanciati, e una conseguente migliore espressione del terroir rappresentato da vini dalla complessità ed eleganza unici.

Va detto che le vecchie viti richiedono un’attenzione e cura considerevole, soprattutto nella pratica della potatura, per garantirne la continuità e la qualità produttiva, il che implica anche investimenti in tal senso che vengono però ampiamente ripagati dalla qualità del frutto.

Perché le vecchie viti sono più resistenti al cambiamento climatico

Conferme sulla eccezionalità delle vecchie vigne arrivano anche dal mondo della ricerca. L’Institute of Grapevine and Wine Sciences (ICVV) in Spagna sta portando avanti uno studio sui genomi dei vitigni più diffusi nella regione della Rioja, dove il vino è prodotto fin dal Medioevo.

Questo territorio esprime lo 0,7% della popolazione spagnola ma produce il 21% del suo vino grazie al lavoro di 500 cantine che immettono sul mercato ogni anno 350milioni di bottiglie il cui valore è ben sopra la media arrivando a toccare i 5.000 euro per esemplare.

Attraverso un’attività di analisi molecolare completa, basata sulla tecnica del risequenziamento dei genomi delle viti provenienti da un piccolo vigneto dove dagli anni 80 sono state piantate talee di vigne vecchie fino a 100 anni, i ricercatori hanno scoperto che le viti di età superiore ai 35 anni sembrano far fronte meglio ai cambiamenti climatici perché geneticamente diverse, il loro ruolo diventerebbe dunque essenziale anche per garantire la continuità delle produzioni unitamente alla loro qualità.

I passi avanti nella valorizzazione delle vigne storiche

Nonostante le resistenze dovute a un substrato culturale non ancora particolarmente fertile, la consapevolezza del valore e del potenziale delle vecchie vigne sta facendosi largo, con iniziative destinate a tracciare un solco per il prossimo futuro.

In Italia ne è un esempio il decreto 6899 del 30 giugno 2020 che stabilisce criteri e le modalità per poter dichiarare a titolo di legge un vigneto come storico ed eroico consentendo di iscriverlo negli elenchi Regionali. L’obiettivo è quello di promuovere interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia dei vigneti localizzati in aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale. Un lavoro che richiederà tempo per una mappatura fedele allo stato dei luoghi ma che rappresenta un primo importante tassello verso la valorizzazione e la tutela di un patrimonio per troppo tempo dimenticato.

A livello internazionale la nascita di “Old Vine Conference” l’associazione inglese per la valorizzazione delle vigne storiche, fondata da Masters of Wines insieme a personalità di spicco del mondo vitivinicolo, rappresenta sicuramente una opportunità per condividere best practice e strategie di gestione di vecchi vigneti, portare avanti progetti a sostegno del settore e ricercare la partecipazione di aziende che diventino ambasciatrici di una realtà per troppo tempo tenuta in ombra e che ha tanto ancora da dare al mondo dell’enologia.

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